Regia Parnassi, Editio novissima,
apud Viduam Claudii Thiboust & Petrum Esclassan, Parisiis, 1678
Povertà ed estasi
Riprendiamo un lungo discorso, già da un po’ di tempo avviato, (speriamo non del tutto inutile), e proponiamo prima una costruzione diretta, – a volte decisamente scontata, ma non sempre elementarmente evidente –, dei versi elegiaci celebrativi considerati nei precedenti articoli; poi ne offriamo una traduzione quanto più letterale possibile e aderente al testo che abbiamo “accuratius(**)” cercato di emendare: dove intervengono a complemento letture congetturali si è usato e mantenuto il carattere corsivo.
Jesus – Maria – Franciscus
Solve calceamenta de pedibus tuis: locus êm in quo stas terra sancta est.
Elegiuncola invitat viatores ad excolendam cellam seraph(ic)i P(atris) S(ancti) F(rancisci).
“Solve turpia vestigia profanatæ plantæ:
terra non est premenda pede polluto”,
tunc intonuit lingua Tonantis(a) Apellæ(b) cornigero(c),
cum cerneres sacra monstra rubi igniti.
Viator, siste iter: non te poscunt miracula
Amramidæ(d), nec mystica flamma te vocat;
sed te (poscunt) limina ardentia flammis seraphicis:
solve turpia tegmina(e) pedis polluti.
Strato non fulgent laquearia(f) turgidă iaspide(g),
non tenet grandis tholus(h) arte Dædalĕa;
asceta incola cavernæ Bethlææ non hic
vixit inter pantheras et inter hydras.
Cellam plusquam Dædalĕo molimine(i), gyro
parvam paupertas struxit et arte rudem;
(incola) decoratus stigmate Christi transfixi(1)
et sponsus amorque paupertatis fuit.
Oh, quæ suspiria fudit seraphico pectore;
qua prece, queis lacrimis incaluere lares!
Oh, quoties sitiens, ut cervus anhelat ad undas,
hausit aquas e fontibus Salvatoris!
Oh, quoties dixit: “Circum stipate rosetis,
cingite me malis, cingite me violis!
Parce: sat est, Jesu, satis est, dulcissime Jesu;
parce: latus meum languet nimio amore!”.
Non ego, si sint mihi flumina linguæ Mæoniæ
et e labiis meis fluet nectar ut Hybla,
non ego dilecti, qui inter lilia pascitur,
queam dinumerare oscula, complexus.
Fateantur sacri odores quos hæc tecta halant
et cella vivida non plagis Panchæis.
Nunc gressus ducas(2): cellam miraberis, hospes;
talis adhuc domus est(3), incola qualis erat.
Laus Deo.
(*) Cfr. Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, XXXVIII, 23.
(**) Cfr. Gaii Julii Cæsaris, Commentarii de bello Gallico libri VII, VI, 22;
Marci Tulli Ciceronis, De Re Publica libri VI, I, 42 [65].
(a) Tŏnāns, tĭs, m. Giove. [Dio].
(b) Ăpēllă, æ, m. Circonciso.
(c) Cōrnĭgĕr, ă, ūm. Cornuto. Cornuto circonciso = Mosè.
(d) (Móysēs, vel Mōsēs, ĭs, m. Mosè.) Āmrămĭdēs, (æ, m.) figlio d’Amramo.
(e) Tēgmĕn, ĭnĭs, n. Coperta, coperchio. [Cālcĕāmēntūm].
(f) Lāquĕăr, ārĭs. Architrave. Lăquĕārĭūm, ī, n.
(g) Ĭāspĭs, ĭdĭs, f. Diaspro.
(h) Thŏlŭs, ī, m. Cupola.
(i) Mŏlīmĕn, ĭnĭs, n. Sforzo, tentativo.
(1) Confixi (?) (cfr. Gal 2,19b)
(2) Ipotetiche varianti: Nunc te introducas: (Ora puoi introdurti:)
Quæso, pedes ducas: (Prego, puoi muovere i piedi:)
(3) Ipotetiche varianti metricamente compatibili, più meno plausibili quanto all’accordo con il secondo emistichio del pentametro conclusivo:
hæc vere domus est, (questa casa è veramente,)
en similis domus est, (ecco la casa è simile,)
nam par hæc domus est, (infatti questa casa è simile,)
par enim (hæc) domus est, (infatti questa/la casa è simile,)
emblema hæc domus est, (questa casa è l’emblema,)
La relativa volgarizzazione:
Gesù – Maria – Francesco
Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!
La piccola elegia invita i pellegrini a venerare la cella del serafico Padre San Francesco.
“Togli le sconce impronte di sacrilega pedata:
il suolo non deve essere calpestato da un piede contaminato”,
tuonò allora la voce del Tonante al Circonciso cornigero,
quando avresti potuto ammirare i sacri prodigi del roveto ardente.
Pellegrino, arresta il cammino: non ti invitano le meraviglie
del figlio di Amram, né ti chiama una mistica fiamma;
ma ti (invitano) le soglie ardenti di serafiche fiamme:
togli le sconce coperture d’un piede contaminato.
Per il letto non rifulge di diaspro un turgido soffitto a cassettoni,
non lo contiene una gran cupola con arte di Dedalo;
l’asceta abitatore della caverna di Betlemme qui non
visse fra pantere e fra serpenti mostruosi.
Una cella più che con sforzo da Dedalo, per ampiezza
piccola l’ha costruita la povertà e rozza di fattura;
abitatore (fu) il decorato col sigillo di Cristo trafitto
e sposo ed amore della povertà [fu].
Oh, quali sospiri effuse dal serafico petto;
di quale prece, di quali lacrime s’infiammò l’abitazione!
Oh, quante volte sitibondo, come il cervo anela alle sorgenti,
attinse le acque dalle fonti del Salvatore!
Oh, quante volte disse: “Riempite intorno di rosai,
cingetemi di pomi, cingetemi di viole!
Perdona: è abbastanza, Gesù, è sufficiente, Gesù dolcissimo;
perdona: il mio fianco vien meno per troppo amore!”.
Non io, se possedessi i fiumi della lingua di Meonia
e fluirà dalle mie labbra nettare come l’Ibla,
non io del diletto, che si pasce tra i gigli,
sarei in grado di contare i baci, gli abbracci.
Lo confessino i sacri profumi che questi tetti esalano
e la cella vivida non per lidi panchei.
Adesso puoi guidare i passi: ammirerai la cella, forestiero;
la casa è ancora tale, quale era l’abitatore.
Lode a Dio.
(6. continua)