I Magi appaiono all’improvviso all’inizio del secondo capitolo del Vangelo di Matteo. Si dice semplicemente che vennero da oriente a Gerusalemme, senza altre specificazioni. Questi personaggi misteriosi, senza nome e senza origine, sono degli osservatori del cielo, difatti affermano che cercano “colui che è nato” (v.2) perché hanno visto spuntare la sua stella. I Magi guardano il cielo per avere indicazioni per il loro cammino, per la loro vita. Il viaggio che intraprendono non ha certezze e punti di riferimento sicuri, giungendo da un paese straniero.
Un particolare che mi ha sempre colpito di questo brano è che quando entrano in città la stella sembra sparire. Anche i personaggi che si susseguono alla corte del re Erode, cioè i capi dei sacerdoti e gli scribi, e il re stesso, pare che non abbiano affatto veduto la stella. Essa ricompare nel testo quando i Magi ripartono e riprendono il loro pellegrinaggio, la loro ricerca, quando seguono l’ispirazione del cuore, la loro vocazione: andare ad adorare colui che è nato. Quando cercano vie solamente terrene, appoggi e raccomandazioni umani, perdono di vista la stella, essa si eclissa ai loro sguardi. L’istituzione se da una parte serve a dare ordine al nostro vivere associato, dall’altra rischia di soffocare la realtà profetica della nostra esistenza, ingabbiando la sua bellezza e poesia in schemi comportamentali rigidi, sfociando spesso in dispotismo, in strutture di peccato che arrivano a negare i diritti fondamentali dell’essere umano, come ha fatto Erode dando l’ordine di uccidere tutti i bambini della zona di Betlemme di età fino ai due anni.
I Magi, personaggi misteriosi venuti da lontano, senza sapere bene cosa cercare ma con un grande desiderio e speranza nel cuore, incontrato il segno della presenza dell’assoluto nella storia dell’umanità, Gesù Bambino, ripartono appagati totalmente nelle loro aspettative. Non hanno bisogno di tornare a cercare gli aiuti dei potenti del tempo poiché portano dentro di sé già tutto quello di cui hanno bisogno per il viaggio.
La storia dei Magi potrebbe essere la metafora di ogni esistenza in cerca di senso. Potrebbe essere quella di ognuno di noi, che alziamo gli occhi al cielo in cerca di conforto, di speranza, di una luce che possa indirizzarci in questo cammino terreno. L’unica luce che può realizzare ciò è quella della Divina Bellezza che promana dal Bambino, “la sola che può appagare totalmente il cuore dell’uomo” (Costituzioni 170/2). Nel prologo giovanneo è scritto: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (v. 4); “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (v. 9).
Siamo noi, come novelli Magi, che dobbiamo alzare gli occhi al cielo in cerca della Sua luce, la sola capace di dare alle nostre vite la direzione definitiva. Aprire gli scrigni dei nostri cuori e offrirgli le nostre gioie e ringraziamenti (che possono essere simboleggiate dall’Oro dei Magi); porgergli le nostre preghiere di lode o richiesta (l’Incenso); mettere ai suoi piedi le nostre sofferenze, delusioni, paure e tutte le vicissitudini che possono averci causato piccole o grandi morti interiori (la Mirra). Permettergli di appianare le nostre valli e depressioni interiori, le nostre montagne e superbie, e rinascere con Lui a vita nuova e tornare alla nostra quotidianità con occhi diversi, uno spirito differente, ridonando al nostro andare un cammino pianeggiante e sereno, illuminato dalla luce della Sua stella.
Con Lui per un’altra strada faremo ritorno al nostro cuore, come figli immensamente amati, perché a quanti “lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).