Nella seconda lettura della III domenica di Pasqua, anno B, troviamo questa frase iniziale: «È lui [Gesù Cristo, il giusto] la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2).
Il termine greco che viene tradotto con «vittima di espiazione» è hilasmos ( ἱλασμὸς ). Questo termine si trova solamente due volte nel NT e sempre nella 1Gv: 2,2; 4,10. L’autore, però, si discosta dall’uso lessicale classico, dove, soprattutto nella forma verbale, si fa riferimento ad un’azione che tende ad ottenere una riconciliazione con la divinità. L’uso di 1Gv 2,2, ma specialmente in 1Gv 4,10 mostra che il soggetto dell’azione è Dio stesso, tanto da «mandare il Figlio come hilasmos», spinto dall’amore verso l’umanità. Non vi è quindi nessun cambiamento nel cuore di Dio: il suo amore verso l’umanità lo spinge alla donazione del Figlio per dare vita a un amore perfetto nella reciprocità.
Vittima di espiazione, dunque? Manteniamo pure l’espressione per non domenticare la tragica realtà della croce. Tuttavia dobbiamo ricoprire ogni realtà con un manto di amore che trasforma. Il termine usato dalla versione greca della Scrittura ebraica fa riferimento all’idea di ricoprire, come il coperchio dell’arca dell’Alleanza [ hilastêrion – ἱλαστήριον ]. Nella forza dello Spirito siamo davanti ad un amore che ricopre trasformando, ricreando coloro che ne sono ricoperti ad immagine dell’Amore stesso.