FILATOIO TRAMAGLINO & CASTAGNERI

F. Gonin, La famiglia di Renzo

“Una notte, verso la fine d’agosto, proprio nel colmo della peste, tornava don Rodrigo a casa sua, in Milano, accompagnato dal fedel Griso, l’uno de’ tre o quattro che, di tutta la famiglia, gli eran rimasti vivi. Tornava da un ridotto d’amici soliti a straviziare insieme, per passar la malinconia di quel tempo: e ogni volta ce n’eran de’ nuovi, e ne mancava de’ vecchi. Quel giorno, don Rodrigo era stato uno de’ più allegri; e tra l’altre cose, aveva fatto rider tanto la compagnia, con una specie d’elogio funebre del conte Attilio, portato via dalla peste, due giorni prima”.

Nella nottata, agitata da incubi, – poteva verosimilmente essere quella fra la domenica 25 e il lunedì 26 agosto 1630 –, don Rodrigo scopre che la peste ha beccato anche lui; tradito dal fidato Griso finisce al lazzeretto: continuiamo, sempre leggendo nel XXXIII Capitolo.

“Lasciando ora questo nel soggiorno de’ guai, dobbiamo andare in cerca d’un altro, la cui storia non sarebbe mai stata intralciata con la sua, se lui non l’avesse voluto per forza; anzi si può dir di certo che non avrebbero avuto storia né l’uno né l’altro: Renzo, voglio dire, che abbiam lasciato al nuovo filatoio, sotto il nome d’Antonio Rivolta. C’era stato cinque o sei mesi, salvo il vero; dopo i quali, dichiarata l’inimicizia tra la repubblica e il re di Spagna, e cessato quindi ogni timore di ricerche e d’impegni dalla parte di qui, Bortolo s’era dato premura d’andarlo a prendere, e di tenerlo ancora con sé, e perché gli voleva bene, e perché Renzo, come giovine di talento, e abile nel mestiere, era, in una fabbrica, di grande aiuto al factotum, senza poter mai aspirare a divenirlo lui, per quella benedetta disgrazia di non saper tener la penna in mano. Siccome anche questa ragione c’era entrata per qualche cosa, così abbiam dovuto accennarla. Forse voi vorreste un Bortolo più ideale: non so che dire: fabbricatevelo. Quello era così”.

Risulta dunque che Renzo lavora nella fabbrica in aiuto a Bortolo, si può dire gomito a gomito con il cugino, circa dal maggio 1629. Se, come par di capire, Renzo decide di andare al suo paese, rimuginando fra sé e sé:

“Se lascio scappare una occasion così bella, – (La peste! Vedete un poco come ci fa qualche volta adoprar le parole quel benedetto istinto di riferire e di subordinar tutto a noi medesimi!) – non ne ritorna più una simile!”,

il mercoledì 28 agosto 1630 (ma se fosse stato il giovedì seguente non cambierebbe molto), la sua permanenza accanto al suo parente è durata anche un po’ più d’un anno e mezzo, quanto basta e avanza per diventare, semmai, anche amici.

Ci potrebbe anche stare: quel dialogo tra Renzo, (dalla strada e convalescente), e il cugino, (dalla finestra di casa e riguardato), qualcosa di amichevole lascia pure trasparire, tra auguri e speranze,… (insieme a quell’azzeccato accostamento tra la giustizia e il contagio, entrambi da schivare: buon senso da parte di Bortolo, graffio ironico e motivato da parte dell’Autore). Ma in fatto di amicizia non si va troppo lontano, perché Renzo non sa “tener la penna in mano” e Bortolo invece sì, con tutto quello che ne consegue.

Siamo allora sul piano di rapporti sinceramente benevoli e più che cordiali, ma non su quella vetta di altruismo, tale da desiderare e fare in modo che sia l’altro a primeggiare. Naturalmente (sempre, ma soprattutto con i tempi che corrono), c’è da augurarsi che ci siano parecchi Bortoli non straordinariamente ideali, e però fatti come quello parente di Renzo, e aver anche la fortuna di incontrarli, perché la fantasia può bensì sbrigliarsi quanto vuole, ma la realtà è quasi sempre tutta un’altra cosa.

Il marchese che “condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa” da una parte, e Bortolo dall’altra, sono personaggi assai diversi tra loro per molti, troppi punti di vista; hanno però in comune un tratto essenziale, cioè di avere una umanità vera, accogliente e generosa, senza tuttavia l’aureola della santità: di questo si voleva fare qualche cenno in queste recenti paginette e così potrebbe bastare. Comunque, per accomiatare Bortolo, seguiamolo nella sua ultima apparizione, quasi alla fine del Capitolo XXXVIII, che è anche quello di congedo dell’opera manzoniana.

“Aveva essa [la peste] portato via il padrone d’un altro filatoio, situato quasi sulle porte di Bergamo; e l’erede, giovine scapestrato, che in tutto quell’edifizio non trovava che ci fosse nulla di divertente, era deliberato, anzi smanioso di vendere, anche a mezzo prezzo; ma voleva i danari l’uno sopra l’altro, per poterli impiegar subito in consumazioni improduttive. Venuta la cosa agli orecchi di Bortolo, corse a vedere; trattò: patti più grassi non si sarebbero potuti sperare; ma quella condizione de’ pronti contanti guastava tutto, perché quelli che aveva messi da parte, a poco a poco, a forza di risparmi, erano ancor lontani da arrivare alla somma. Tenne l’amico in mezza parola, tornò indietro in fretta, comunicò l’affare al cugino, e gli propose di farlo a mezzo. Una così bella proposta troncò i dubbi economici di Renzo, che si risolvette subito per l’industria, e disse di sì. Andarono insieme, e si strinse il contratto”.

Evidentemente Renzo non aveva soltanto provveduto a suo tempo al rimborso del prestito ricevuto dal cugino, divenuto attualmente suo comproprietario; di più, con quel contratto, il suo “non saper tenere la penna in mano” diventa del tutto secondario per stabilire tempi e modi di conduzione dell’azienda: un discreto salto dalla originaria condizione operaia a quella di possidente: del filatoio Tramaglino & Castagneri, come l’abbiamo chiamato, perché dal seguito, dove si parla solo degli sposi, di nonna Agnese e suoi nipotini, pare di capire che Renzo fosse socio di maggioranza..

Volendo decisamente e finalmente passare ad altro, il “giovane scapestrato” e “smanioso di vendere, anche a mezzo prezzo” può far venire in mente l’episodio arcinoto del miracolo delle noci, narrato da fra Galdino nel III Capitolo. Protagonisti il padre Macario, di un convento cappuccino di Romagna, e un anonimo benefattore, che muore prima di poter adempiere la sua promessa.

“Quel brav’uomo aveva lasciato un figliuolo di stampa ben diversa. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscotere la metà ch’era dovuta al convento; ma colui se ne fece nuovo affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci”.

Se l’accostamento non è troppo azzardato, parrebbe quasi che i figli di brava gente operosa e saggia tralignino, mostrandosi scapestrati e improvvidi, invitando sconsolatamente a borbottare, allora come un po’ sempre e con tanto di scuotimento di testa: Eh, i giovani d’oggi…. Ma non si può generalizzare, perché c’è anche un altro aspetto incoraggiante.

“Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro”.

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