Il Cantico di frate Sole è un inno di lode all’Altissimo attraverso la creazione. È un inno alla vita, alla bellezza e, soprattutto, alla riconciliazione. Per Francesco il creato è permeato, intriso dello Spirito del Creatore, per questo considerava ogni creatura fratello, sorella, madre.
Armonia del creato
Nella sua composizione il Cantico di san Francesco richiama quello dei tre giovani nella fornace che si trova nel libro del profeta Daniele (cf. Dn 3,51-90).
Le creature citate per prime sono quelle della volta celeste (sole, luna e stelle), seguite dai quattro elementi che costituiscono il mondo sublunare (aria, acqua, fuoco e terra). In queste creature\elementi è rappresentata tutta la creazione nella sua totalità.
Gli esseri creati sono in reciproco rapporto tra loro di aiuto, sostegno e collaborazione. Così frate Sole “è iorno et allumini noi per lui”; sorella Luna e le stelle sono “clarite e preziose e belle” per chi le guarda (si pensi ai naviganti di notte); attraverso frate Vento, l’aria, le nuvole, il sereno e ogni tempo “a le Tue creature dài sustentamento”; sorella Acqua “è molto utile et humile e preziosa e casta”; con fratello Fuoco “ennallumini la notte: et ello è bello e iocundo e robustoso e forte”; la nostra madre Terra ci “sustenta e governa, e produce diversi frutti con coloriti flori et herba”. Le creature sono legate tra loro da un mutuo accordo di cooperazione e, insieme, di lode a Dio. Francesco scopre nella creazione una grande armonia che si fonda su un atteggiamento di riconoscenza nei confronti del Creatore, di non appropriazione dei doni da Lui ricevuti.
Da dove arriva al santo d’Assisi tale sensibilità?
«Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e “li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione”. La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste.» «Se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.» «San Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà.» Papa Francesco, Laudato si’, 11-12
Ecco dove san Francesco trova le ragioni del suo atteggiamento verso le altre creature, e ne fa la ragione della sua stessa vita: “riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà.” Per questo ogni cosa è fratello, sorella e madre: perché Dio è presente in ognuna di esse. Così per Francesco, intessere “vincoli di affetto” con le creature significa riconoscere e corrispondere all’amore di Dio disseminato in tutto il creato.
Riconciliazione tra gli uomini e con se stessi
La cosiddetta ‘strofa del perdono’ (vv.23-26) fu composta a seguito di un forte dissidio tra il Vescovo e il Podestà di Assisi, che Francesco riuscì a riconciliare facendo cantare in loro presenza il Cantico (vd. FF 1616). È l’unica strofa riferita alle relazioni degli uomini tra loro e il versetto d’apertura è caratterizzato dal verbo ‘perdonare’: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore”. Il compito precipuo dell’uomo è di ‘perdonare’ ai propri simili, cioè quello di compiere una riconciliazione, come ha fatto Francesco con le due autorità della sua città. Ed è un compito non facile, da cui deriva o no la beatitudine, l’accesso o meno alla corona della vita eterna.
«e sostengono infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke ’l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.»
La parola “Beati” richiama subito alla mente le “Beatitudini evangeliche” (Mt 5,3 ss; Lc 6,20ss): «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.» (Mt 5,11-12) Il riferimento è palese. C’è anche un nesso con la Lettera di Giacomo 1,2 dove si parla della “Perfetta Letizia” e, ancor più esplicito, con il versetto 1,12: «Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.»
L’invito di Francesco a vivere il perdono ed esercitare la pazienza nel sostenere e sopportare le difficoltà, non è unicamente in vista della ricompensa finale, cioè la vita eterna, ma della beatitudine che è già per questa vita: in quel “per lo Tuo amore” è racchiusa tutta forza vitale derivante dalla relazione profonda con Dio che sperimenta chi perdona. Il perdono apre la porta del cuore alla vera pace che solo la presenza dell’amore di Dio può donare. Tale presenza in sé la può scoprire solo chi ha un cuore disponibile al perdono, ad accogliere l’amore come dono: chi è aperto al perdono del fratello, ha il cuore libero a ricevere “per dono” l’amore di Dio. Solo un cuore riconciliato può assaporare la dolcezza, la soavità, la bellezza, la beatitudine del rapporto affettivo di Dio Amore.
La strofa successiva dischiude ulteriormente l’orizzonte dell’eternità trattando di sorella Morte corporale.
«Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.»
Il richiamo alla morte corporale invita a fare i conti con la propria storia, il proprio vissuto. A valutare se le relazioni sono vissute secondo un’ottica di negazione dell’amore, di non perdono, di non riconciliazione, di “peccata mortali” quindi, oppure assecondando gli stimoli e ispirazioni dello Spirito d’Amore che viene da Dio (“le Tue santissime voluntati”). Anche in questa lassa il tema della riconciliazione è pregnante, e forte è anche, pur se implicito, l’invito a riflettere e a fare una scelta di conversione: grande è il contrasto posto tra i “guai” e i “beati”, secondo la direzione nella quale ognuno intenderà procedere.
Così si esprime Papa Francesco al capitolo 4 della Lettera Apostolica Patris corde:
«Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo.» «L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza. La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo.»
Il Papa invita a fare spazio a Dio per riconciliarsi con se stessi, con quelle parti della nostra vita che rifiutiamo, per scrollarci di dosso il fardello frustrante dell’insuccesso che genera insicurezza a discapito della pace interiore, ad aprirci al dono dello Spirito Santo che è l’amore che vince le paure e fa guardare avanti con speranza e serenità, e indietro con gratitudine; ad accogliere nella propria vita il dono del Padre, Gesù, il quale ha portato a compimento in sé ogni riconciliazione: «Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.» Colossesi 1,19-20
La riconciliazione nel Cantico ha, quindi, una valenza totalizzante e universale: c’è riconciliazione tra Dio e il creato che nell’ultima strofa è chiamata a lodare, benedire, ringraziare e servire il Signore “cum grande humilitate”; c’è riconciliazione tra Dio e l’uomo, (“ka da Te, Altissimo, sirano incoronati”, “beati quelli ke troverà ne le Tue santissime voluntati”); riconciliazione tra uomo e uomo (“quelli ke perdonano per lo Tuo amore”); riconciliazione tra l’uomo e il creato, del quale se ne riconoscono i pregi, l’utilità, il valore, l’unicità; riconciliazione dell’uomo con se stesso (“ka la morte secunda no ’l farrà male”).