Superman vs vero uomo
Questo comportamento si può riflettere in maniera negativa anche nella fede, nel rapporto con Dio: chi deve fare tutto da solo non può fare affidamento su nessuno, e in questo “nessuno” è compreso spesso anche Dio. Questa situazione sfocia comunemente in sentimenti di rabbia, frustrazione, apatia, depressione, disamore verso la vita stessa.
Al contrario la fede implica un rapporto personale e veritiero con il Signore, riconoscendosi creature bisognose dell’aiuto del Creatore, figli ancora in fasce che necessitano di ogni cura da parte di Dio che è Padre.
Non siamo e non c’è chiesto di essere dei superman, perfetti e capaci in ogni settore, ma semplicemente uomini e donne che riconoscono la propria realtà creaturale, bisognosi di amare ed essere amati. Chi sa chiedere, per esempio una carezza o un abbraccio, sa anche lasciarsi amare, che non sempre è facile perché implica di mettere a nudo la propria umanità, con le sue fragilità. Pensiamo a quanta difficoltà s’incontra all’interno di molte famiglie nel dirsi semplicemente “ti voglio bene!”. Lo diamo per scontato ma non riusciamo a dircelo. È la cosa più facile e naturale eppure sembra così strano pronunciare quelle parole, anche con i familiari più intimi. Al contrario, quanto farebbe bene a chi le dice e a chi le riceve!
Purtroppo il dover bastare a se stessi costringe a vivere una sorta di perfezionismo che non è dell’umano e, col tempo, lo schiaccia. Il paradigma d’umanità che ci viene posto dinanzi è quello di Gesù: non il suo essere vero Dio ma vero uomo, l’uomo in relazione con Dio, il figlio in relazione con il Padre. Questo apre i cuori alla relazione autentica con i fratelli.
Un appunto che si potrebbe fare circa il testo citato di Carofiglio è che l’autore non voleva certo disquisire su argomenti inerenti alla fede, e tutto il romanzo da lui scritto tratta completamente altri temi rispetto a questioni di religione e di rapporto con Dio. Un’osservazione del tutto lecita
Per dare una risposta facciamo nostre le parole di Giacomo Biffi riportate nel suo commento teologico a Le avventure di Pinocchio (Jaca Book 2017):
«Pinocchio, ovvero dell’ortodossia cattolica: questa era l’idea mia, ma che ne avrebbe pensato il Collodi?» (p. 10)
«Il Collodi aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, un carisma profetico più alto della sua militanza politica. Così poté porsi in comunione forse ignara con la fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo.
L’ortodossia, che non avrebbe potuto superare con le proprie vesti gli sbarramenti censorî della dittatura culturale dell’epoca e della stessa coscienza esplicita dello scrittore, travestita da fiaba eruppe dal profondo dello spirito e risonò apertamente. In quella fiaba gli italiani di istinto riconobbero la loro canzone di sempre e gli uomini di tutti i paesi avvertirono inconsciamente la presenza cifrata di un messaggio universale.» (p. 12)
Il fedele deve essere come l’ape che sa cogliere il buono da ogni fiore, perché in ogni pensiero e in ogni cultura ci possono essere dei semi di verità, sparsi là dalla Verità Eterna, come già affermava san Giustino nei primi secoli di cristianesimo, sta a noi saper fare discernimento e cogliere il bene nascosto in ogni circostanza, anche in un romanzo che sembra ben lontano dal parlare di fede, scartando ciò che non è salutare per l’anima. Così, in ogni situazione, la fede aprirà la mente e l’anima del credente alla consapevolezza “che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28) e nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35).